Archivio mensile:Febbraio 2013

San Babila

Il complesso monumentale di San Babila vedeva, accanto alla basilica, da una parte, affacciante sul Corso di Porta Orientale (Corso Venezia) la cappella di Santa Marta con un vasto spazio cimiteriale.

Dall’altra, verso il Monforte, la Chiesa di San Romano.
Secondo un’antica tradizione, le guide di Milano amavano identificare i luoghi in cui sorsero le più importanti chiese della città con gli spazi di precedenti templi pagani.
Il Morigi, nel suo Santuario della città e diocesi di Milano, del 1603, a proposito della chiesa, afferma: “la qual sino aventi che Christo venesse al mondo era il tempio del Sole”.
Lo seguì il Villa, dove, a suo dire, “gli antichi Romani ci avevano collocato la statua del Sole”.
E’ molto probabile la presenza, nei pressi di San Babila, di una porta urbana.
Fu la posizione di tale porta, verso oriente, a far nascere, recentemente, la fantasiosa ipotesi della presenza di un tempio dedicato al Sole, cui si sarebbe sovrapposta la chiesa, visto che nessuna delle basiliche cristiane, poste alla periferia cittadina, è nata dalla trasformazione di un edificio pagano.
I reperti di età romana nell’area si limitano a tre tombe e alcune lapidi e pozzi provenienti dagli scavi eseguiti nel tempo moderno.
Solo alla fine dell’undicesimo secolo si hanno le prime notizie della chiesa.
La testimonianza più antica si trova nella Historia Mediolanensis di Landolfo Iuniore nel 1140 ca.
Tra i documenti conosciuti, vi è una pergamena del 1099, la quale nomina per prima la chiesa di San Babila.
La chiesa eretta nel Medioevo era formata da un particolare organismo, non consueto per il gusto romanico milanese.
Completamente costruita in mattoni, era risolta col linguaggio formale del romanico lombardo.
Oggi, non rimane quasi nulla dell’edificio originale, resta, però, un disegno di un viaggiatore olandese della seconda metà del Cinquecento.
Vi è rappresentata una veduta di prospetto del lato verso il Monforte, con le cappelle, aggiunte in seguito alla prima costruzione, e la parte absidale. Non si vede la facciata, ma si vede il campanile, che si appoggiava sul lato destro, anch’esso decorato ai diversi piani con arcatelle cieche e finestrelle di gusto romanico.
Negli anni successivi alla sua fondazione, la chiesa assunse sempre più importanza, soprattutto dopo la demolizione delle mura di Massimiano da parte di Federico Barbarossa, che mise a ferro e fuoco la città nel 1162.
Venne allora eretta la nuova cinta muraria, più esterna, che inglobò buona parte delle zone di espansione della città.
Anche San Babila divenne intra moenia ed ampliò la sua area parrocchiale.
Vi mancava il battistero.
Mentre, sul lato sinistro, della cappella maggiore c’era la sagrestia.
A sua volta, questa era collegata alla casa dei sacerdoti e, attraverso un portale di pietra, ad un locale della Confraternita di Santa Marta.
Il pavimento era di pietra.
Gli altari erano sette.
Percorrendo i due lati dell’aula, nella navata laterale sinistra c’erano tre altari, appoggiati al muro.
Nel lato destro, dopo il campanile appoggiato alla fronte, si apriva la cappella con l’altare del Corpus Domini, patrocinato dalla Confraternita del SS Sacramento.
Aveva le pareti poveramente dipinte, i cancelli anteriori di ferro, ben quindici finestre tonde vetrate per l’illuminazione. Sulla navatella destra, s’incontrava un piccolo altare secondario che le ordinazioni del visitatore propongono di spostare vicino alla pila dell’acqua santa all’ingresso.
All’imbocco di Porta Orientale, sorge la colonna omonima, sormontata da scultura leonina, che indica la strada per Venezia, in quanto rivolta verso la porta stessa.

Nel 1567, la chiesa aveva due cimiteri: uno, aperto, davanti alla facciata; un altro “a latere manu sinistra ecclesiae”, chiuso da una recinzione, ma così mal tenuto che, nel 1615, si chiederà che il suo terreno sia spianato e vi si tolgano piante e fiori.
Quindi, nel 1719, il muro che lo delimitava venne rifatto per iniziativa degli scolari di Santa Marta, creando, nella parte centrale, una cappella dei morti con funzione di ossario e, insieme, di devozione per i defunti. Nelle due ali di muro che la collegavano sulla destra a San Babila, sulla sinistra a Santa Marta, si aprivano le due porticine di accesso al cimitero.

Bolzani Galleria

L’attività nel campo dell’arte applicata, intrapresa da Guido Bolzani nel 1908, prima a Como, poi a Castelleone, vicino Cremona, fu trasferita a Milano negli anni 20.

Dapprima Ditta Bolzani e Salvetti, in via Tommaso Grossi, poi in via Sant’Andrea; infine, in via Montenapoleone dal 1933.

In quel periodo, divenne titolare il figlio di Guido, Benigno.

Nel 1938, la ditta acquisì la sede di Corso Matteotti 20, nel Palazzo del Toro.

La Galleria, oggi, è guidata dal figlio di Benigno, Alberto; recentemente, si è trasferita al civico 2 di via Morone.

In oltre mezzo secolo di attività artistiche, sono state organizzate quasi mille mostre ed esposizioni, con centinaia di artisti.

L’arredo, l’insegna e le targhe sono quelli originali, rispondenti al progetto di una volta.

L’archivio Bolzani rappresenta un patrimonio culturale, oggetto di studio e ricerca.

Merluzzo fritto

Ingredienti per 4 persone:
1 kg di merluzzo salato
olio per friggere
farina
acqua
Procedimento:
Lasciare in ammollo il pesce per almeno 24 ore.
Preparare una pastella di acqua e farina.
In una padella scaldare abbondante olio e friggere il merluzzo tagliato a pezzetti ed impastellato, pochi per volta.
Toglierli appena dorati e croccanti e farli scolare su carta assorbente.
Tenerli incaldo fino ache non si sia finito di friggere tutto il pesce.
Il mio suggerimento:
Accendo il forno un po’ prima di friggere e metto a scaldare sia il piatto di servizio sul quale metterò a scolare il pesce, sia quello di portata.
Ogni volta che scolo i pezzetti di merluzzo, li appoggio poi su quelli già scolati, dividendoli  con della carta assorbente.
Prima di impiattare, passo una volta in più il pesce in altra carta sssorbente.
Servo con salsine a piacere e una coppetta di limone tagliato a spicchi.

Giovanni D’Anzi

E’ nato a Milano il l° gennaio 1906 ed è morto a Santa Margherita Ligure il 15 aprile 1974.
E’ stato uno dei maggiori autori italiani della prima metà del secolo scorso.


 

Compositore di musica leggera, negli anni ’30-’50, in coppia con Alfredo Bracchi, pur milanese di vecchio stampo, compose canzoni di successo (in lingua e in vernacolo) per la radio, il cinema e la rivista
Eccone alcuni titoli:
Madonnina,
Lassa pur ch’el mond el disa,
Nostalgia de Milan,
La Gagarella del Biffi Scala,
Quand sona i campan, El biscela de Porta Cines,
I tosan de Milan,
El perrucchee de dona,
El tu mi ami de Lurett,
Bambina innamorata,
Ma l’amore no,
Ma le gambe,
Ti parlerò d’amor,
Non dimenticar le mie parole,
Abbassa la tua radio,
Signorina Grandi Firme,
Bellezze in biciclette,
Il maestro improvvisa,
Tu musica divina,
Non partir.

“Madonnina” è nata di notte.
Dopo l’ascolto di una delle tante canzoni napoletane che negli anni 30 spopolavano in città, D’Anzi pensò di creare una canzone meneghina, capace di ottenere lo stesso successo nel pubblico milanese di quelle della rivista napoletana e romana.
Nella stagione della grande rivista D’Anzi ha scritto per il duo Isa Bluette, Nuto Navarrini, per Nino Taranto, per Carlo Dapporto, per Wanda Osiris, per Macario, per il duo Walter Chiari-Marisa Maresca, per Tino Scotti e per Ugo Tognazzi.
Finita quella grande stagione, negli anni ’60 si ritirò nella sua bella villa di Santa Margherita Ligure e si dedicò alla pittura.
Ma non potè fare a meno di tornare spesso al suo grande amore: Milano.
Di gironzolare per la Galleria del Corso e di recarsi spesso la sera a improvvisare nuovi arrangiamenti al Derby Club assieme a un allora giovanissimo pianista di nome Roberto Negri.
In Galleria del Corso 3, a Milano, il Comune, nell’aprile del 1990, gli ha dedicato una targa che recita: “In questa galleria c’era una volta un re…Giovanni D’Anzi scrisse magiche note e la più dolce serenata la cantò per Milano “O mia bela Madonina”
Riposa nel Cimitero Monumentale, nel Civico Mausoleo Palanti; Riparto 5; Spazio n.83
Nella stessa Cappella, dedicata a diversi cittadini illustri, riposano pure, tra gli altri: Franco Parenti, Walter Chiari, e Paolo Grassi.


Il lavoro paga…

A Milan, anca i moron fan l’uga
Se i gelsi a Milano producono uva, è perché Milano resta sempre la città del miracolo economico, dove tutto può realmente succedere.