Archivio mensile:Marzo 2013

Taveggia

La storia inizia nel 1909, con la famiglia Taveggia e la sua pasticceria di rigorosa tradizione lombarda, in via Visconti di Modrone, nota per il panettone, la cioccolateria, la pralineria, le gelatine, le torte speciali.
Nel 1930, viene affidato il restyiling all’architetto Gaetano Moretti.
Eleganti sale da tè, arredi art-decò, il bancone in legno pregiato, specchi, lampadari vengono collocati nel locale.
L’attuale proprietario è Roland Luis El Hokayem, libanese di nascita e milanese per scelta.
Con lui, il marchio Taveggia viene esportato in tutto il mondo.

Crostini con punte d’asparagi

Ingredienti per 4 persone:
200 gr di punte di asparagi lessate
1 cucchiaio di succo di limone
4 cucchiai di olio evo
4 fette di pane casereccio
sale
pepe

Procedimento:
Nel mixer unire tutti gli ingredienti e frullarli.
Bruschettare le fette di ane e cospargerle con la crema ottenuta.
Servire subito.

Il mio suggerimento:
Questa preparazione semplice e velocissima, io la servo subito dopo averla preparata in modo che l’aria non secchi la crema, dato che i crostini vanno serviti caldi.

Carlo Pierotti “Carletto”

Nato a Gaggiano nel 1923, ma di origine toscana (vedi il Cognome).
Infatti il padre proveniva dalla lucchesia e si era trasferito lì dove viveva la famiglia della moglie, Pierina Cortesi.

 

A Gaggiano Carlo abitava nella Cort del Brüni detta anche Cort del Vescov perché ospitava l’uscita posteriore e l’imbocco della cantina dell’Osteria del Vescovo.
I suoi parenti abitavano invece nella Cort d’la Rossa che si trovava di fianco alla salita del ponte per Abbiategrasso e che introduceva in un secondo cortile, quello del Vigon.
Per questo Carlo tornava spesso a Gaggiano.
Una delle sue poesie più delicate Sul pont de Gaggian ricorda la madre che la gh’è pù, ma la riposa chì in del Campsant tacaa la Gambarina… E me pareva / de vedèlla viva / stravaccà el smoej / in l’acqua del Navili / e vedè / adasi / andà con la corrent / i balonitt in fila / che s’cioppaven / in mezz a ona riana / de lessiva.
Arruolato in marina come sommergibilista, fu preso prigioniero dai tedeschi dopo l’otto settembre ed ha vissuto la tragica esperienza della prigionia nel campo polacco di Thorn.
Rientrato in Italia e ripreso il lavoro abituale, si sposerà nel ’52 ed avrà una figlia, Barbara.
Poeta dialettale arguto, pur prediligendo la poesia allegra, ha saputo esprimere la malinconia e la tenerezza, la contemplazione della natura e l’umiltà della povera gente, cesellando le parole che la ricchezza del dialetto gli ha messo a disposizione
Senza mai ergersi a personaggio, si è cimentato da dilettante anche nel teatro e nella musica, fondando e collaborando ad un periodico milanese, l”Ottagono” ed a Radio Meneghina.
Muore nel 1995.

Semplicità

Parla come te manget
Parlare come si mangia non significa solo usare un linguaggio più comprensibile, ma anche mantenere le proprie abitudini, seppur modeste.

Santa Croce

La chiesa fu edificata a partire dal 28 settembre 1913, in occasione del sedicesimo centenario dell’Editto di tolleranza di Costantino,  fortemente voluta dall’allora Arcivescovo di Milano, il Cardinal Ferrari.

 

Può essere considerata un vero e proprio edificio tematico, in cui tutto parla della Croce.
L’episodio di Ponte Milvio, per esempio, è ripreso negli affreschi dell’abside, sul lato sinistro guardando l’altare maggiore.
E allo stesso tema si può riportare la statua in bronzo antistante la chiesa che raffigura Costantino con la spada e la croce.
A causa anche dell’avvento del Fascismo, si dovette attendere il 3 Maggio 1940, quando l’Arcivescovo Schuster consacrasse la chiesa; a seguito poi della riforma liturgica prevista dal Concilio Vaticano II, l’altare venne spostato dal ciborio e posizionato nel presbiterio “coram populo”, per la sua nuova consacrazione il 18 Marzo 1968.
La chiesa è alta circa 22 metri e profonda 50, è opera di Cecilio Arpesani, la sua costruzione durò dal 1913 al 1917.
In stile basilicale paleocristiano, propone degli insegnamenti a chi la visita, con gli affreschi, ma anche con i numeri, usati come simboli.
Quindi l’ampia scalinata d’ingresso conta dieci gradini, come i dieci comandamenti ricevuti da Mosè sul Monte Sinai; i gradini per giungere al ciborio sono sette, come i sacramenti; per giungere al tabernacolo, vi sono altri tre gradini, come le Virtù Teologali.
C’è poi il dodici, come il gruppo di persone sull’affresco absidale: si riferiscono all’Apocalisse di Giovanni e nel gruppo in vesti bianche è raffigurato simbolicamente il genere umano.
L’ingresso della basilica è costituito da un pronao retto da dodici colonne in granito di Baveno con capitelli corinzi, a simboleggiare le dodici tribù d’Israele.
La porta centrale riporta formelle in ceramica policroma, raffiguranti vari simboli cristiani e coi nomi degli evangelisti.
La facciata è ricca di mosaici, nel timpano due angeli glorificano la croce: la chiesa non solo è intitolata alla Santa Croce, ma anche le opere interne sono dedicate alla presenza della Croce nei primi due millenni di storia cristiana.
Gli angeli del timpano non sono i soli presenti nel tempio; ve ne sono molti anche nella zona del canto, a rappresentare la loro funzione di mezzo per giungere alla beatitudine.
La chiesa è a tre navate, intervallate da arcate a tutto sesto, rette da nove colonne con capitelli corinzi, ovverosia i nove cori angelici di cui parla per la prima volta Sant’Ambrogio nel IV secolo.
Dal corridoio destro, si scende nella cripta, che ospita le lapidi dei caduti della prima guerra mondiale
In essa, vi sono tre cicli di affreschi, tutti risalenti al ventesimo secolo: uno di questi si trova sulle pareti esterne delle navate e raffigura la Via Crucis; un secondo ciclo affresca la parte superiore della navata centrale ed è costituito da una successione di “quadroni”, sotto i quali c’è una “striscia” di finte finestre con angeli che cantano; un terzo ciclo riguarda l’arco trionfale, l’abside e la controfacciata.
Le stazioni della Via Crucis sono raffigurate da altrettanti affreschi, per un totale di quattordici, più altri due all’inizio e alla fine delle stazioni, raffiguranti i defunti in compagnia degli angeli.
I quadroni del secondo ciclo raffigurano una serie di episodi in cui compare la croce, con Santa Giovanna d’Arco e Goffredo di Buglione alle Crociate, la croce piantata da Cristoforo Colombo in America, San Leone Magno che ferma Attila, e San Carlo con San Bernardino al Concilio di Trento.
Sotto i quadroni, si trovano numerose finestre da cui si affacciano a cantare gli angeli.
L’arco trionfale, l’abside e la controfacciata sviluppano i loro affreschi verso l’alto, trattando temi riguardanti il Padreterno.
L’arco lo raffigura mentre, in un ovale, sta mostrando il figlio alle schiere degli angeli che cantano, adorano e servono.
Ai piedi del Crocifisso, è raffigurato il Cardinal Ferrari che presenta la chiesa.
Dal Crocifisso, discendono i sette Sacramenti.
L’abside è preceduta dalla parete del transetto, su cui sono raffigurati il Cristo crocifisso, i quattro Evangelisti e i tre Arcangeli; poco più sotto, vi sono dodici gruppi di persone che rappresentano l’umanità intera di fronte al Giudizio Universale e, nel gruppo in vesti bianche in alto a destra, sono raffigurati tutti i credenti del nostro tempo.
Sull’abside vera e propria, si trova, al centro del complesso pittorico, un Crocifisso diafano, quasi trasparente, ad indicare la Resurrezione; a fianco, Sant’Elena lo mostra a chi si avvicina, mentre San Francesco, inginocchiato, riceve da esso le stimmate.
Tutta la scena è avvolta da una pianta rampicante dai frutti abbondanti, a testimoniare i frutti della redenzione operata dal sacrificio di Cristo.
La controfacciata raffigura una porta aperta verso cui tutti stanno andando, eccetto uno: è il Giudizio Finale, dove la porta è aperta a tutti, tranne a coloro che rifiutano il perdono di Dio (la figura avvolta nel buio che non si muove è Lucifero, che si copre gli occhi).
Autore degli affreschi di Santa Croce è il terziario francescano Carlo Donati, nato a Verona, i cui castelli sono stati inseriti negli angoli adiacenti alla Via Crucis, attivo in Trentino, ma che fu costretto a rifugiarsi a Milano nel 1939, per scappare dalla guerra e venne accolto dai frati di Santa Croce.
Per ringraziare dell’ospitalità, affrescò da solo l’intero santuario tra il 1939 e il 1943.
Come firma, si raffigurò in autoritratto nel quadrone posto alla fine della Via Crucis, al di là della finestra.