Archivio mensile:Aprile 2013

Delio Tessa

Nasce nel 1886 a Milano, in via Fieno, in casa di ringhiera.
Milanesi sono entrambi i genitori; Arsenio, il padre, è un bancario.
Il nome Delio è quello del nonno.

 

Nel 1895 trasloca in via Olmetto e nel 1925, alla morte del padre, in viale Beatrice d’Este 17.
Si laurea in legge nel 1911, con un po’ di ritardo, un po’ perché spesso malaticcio, ma forse anche per il poco interesse a questi studi, rivolgendo invece le sue simpatie alla filosofia, al cinema, alla musica, alla poesia, cui si dedica già in età giovanile, muovendosi nella tradizione milanese di Maggi e Porta, ma innestandovi modi e spiriti della poesia francese decadentista e espressionista, rielaborati però in maniera del tutto personale e curando al massimo la musicalità e le sonorità dei versi.
I temi preferiti della sua poesia sono quelli della vita quotidiana del cittadino, ma anche della drammatica realtà della prima guerra mondiale nonchè quella degli “emarginati della società” (prostitute, ladri della vecchia Vetra e del Bottonuto) con cui coltivava discretamente (lo dice Dante Isella) lunghe, fedeli amicizie.
La sua carriera professionale non fu una gran carriera, poca la clientela, solo sufficiente a fargli sbarcare dignitosamente il lunario.
E per arrotondare si dedicò anche ad una attività giornalistica prima in provincia, poi nel Canton Ticino, dove collaborò anche con la Radio della Svizzera italiana.
E poi, nel ’36 collaborò al quotidiano “L’Ambrosiano” che riuniva molte delle migliori firme della nostra letteratura, con scritti gustosi, malinconicamente umoristici su figure o scorci della città, poi raccolti sotto il titolo “Ore di città”
E’ stato anche un fine dicitore di poesie, che preparava come “si preparerebbe un concerto”.
Schivo di temperamento, è’ vissuto da scapolo, appartato, dopo una delusione sentimentale, col conforto della famiglia e di pochi amici che gli sono stati vicini sino alla fine (purtroppo precoce poiché una setticemia, provocata da un ritardato intervento ad un’infezione ad un dente, lo portava via il 21 settembre 1939).
Per sua volontà fu sepolto in un campo comune di Musocco, ma nel 1950 il Comune di Milano gli decretò gli onori del Famedio e, successivamente, gli intitolò una strada, da corso Garibaldi a piazza delle Crociate.
Oggi Delio Tessa è considerato il più grande poeta dialettale del ‘900.
Opere pubblicate:
L’è el dì di mort, alegher! (raccolta di versi, unica cosa da lui pubblicata in volume, in vita.
La raccolta passò inosservata anche per l’ostracismo che il fascismo riservava per i dialetti.
L’è el dì di mort, alegher! (a cura di Claudio Beretta – Libreria Milanese 1993)
Ore di città (a cura di Dante Isella – Einaudi 1988)
L’è el dì di mort, alegher! – De là del mur – Altre liriche (a cura di Dante Isella 1999) – Ed. Einaudi
Nove saggi (1939) Poesie nuove ed ultime (pubblicate postume, nel 1947, a cura di F. Antonicelli e F. Rosti)

Ricchezza

Andà in d’ona cassa e tornà in d’on bàull
Il detto si riferisce a chi vive in condizioni molto agiate e non si preoccupa di questioni apparentemente poco importanti, come le questioni domestiche o di vita quotidiana.

San Giovanni Battista alla Creta

La chiesa di San Giovanni Battista alla Creta, opera moderna dell’architetto Giovanni Muzio, ha un atrio, a cui si accede da tre porte, che prepara e dispone l’animo all’incontro con Dio, staccando, almeno per un po’, il luogo dell’adunanza dei fedeli dal mondo esterno.

 

Nelle antiche basiliche, vi era il nartece, un vestibolo nel quale restavano i catecumeni e i penitenti, gli uni perché non ancora battezzati, gli altri esclusi per le gravi colpe commesse.
Nel battistero, si scende per quattro gradini, a significare l’antica vasca nella quale, come Cristo nel sepolcro, scendeva il battezzando per immergersi tutto nell’acqua e risalirne rinnovato dall’azione onnipotente dello Spirito Santo.
In mosaico la scritta sul pavimento: “Caro abluitur ut anima emaculetur”, viene lavato il corpo affinché sia mondata l’anima, richiama il motivo di fondo del battesimo.
Al sommo del soffitto, vi è la raffigurazione dello Spirito Santo, in forma di colomba, che è amore sostanziale del Padre col Figlio, vita, luce, forza.
Le immagini tradizionali del presepio rivestono un loro fascino, in quanto soffuse di dolcezza: Maria, in particolare, che tiene sulle ginocchia Gesù neonato.
A fianco dell’edicola del crocifisso, si accede alla cappella mortuaria della famiglia Cabassi.
Era usanza antica quella di seppellire i morti nelle chiese.
Tale usanza aveva una sua ragione spirituale: la chiesa in muratura significava la chiesa nella quale sono in comunione i credenti, ancora in vita, con i defunti.
Poi vennero le leggi napoleoniche a vietare la sepoltura dei defunti, non solo in chiesa, ma anche in luoghi vicini all’abitato, leggi che divennero comuni a tutta l’Europa.
La famiglia Cabassi è benemerita per aver donato all’Arcidiocesi di Milano il terreno e tutto il complesso parrocchiale.
La chiesa si sviluppa lungo l’asse est-ovest, con una forma volumetrica crescente dalla fronte verso l’abside, fiancheggiata dal campanile, con un altezza della croce di 36 metri.
L’architetto Muzio ha concepito una originale soluzione planimetrica a forma di giglio, che, da una base all’ingresso di 17 metri, si apre a calice per una larghezza di 30 metri sul transetto, ove fanno corona il presbiterio, di 100 metri quadri, dove sta l’altare maggiore, e quattro altari laterali in posizione frontale verso i fedeli.
La disposizione è tale da consentire la visuale da ogni punto.
L’aula della chiesa è divisa in tre navate: la più grande al centro e le due laterali fiancheggiate da sei colonne per parte.
Le dodici colonne rappresentano gli Apostoli, i quali hanno costituito la nuova famiglia, la Chiesa di Dio.
Le pareti di un solo colore invitano ad alzare gli occhi al cielo, dove il soffitto riproduce, in forma di vele, una tenda gettata su traversi.
Lo stupore dell’uomo moderno, nel visitare una chiesa antica, nasce dallo scoprire la bellezza dei mosaici che raccontano completamente sia il Vecchio che il Nuovo Testamento; le pareti, un tempo, erano enormi fogli di lettura, dove ogni credente si fermava a conoscere la vera storia dell’umanità, raccontata con l’aiuto di Dio. Adamo, Noè, Abramo, il diluvio universale, la torre di Babele, il Re Davide, i Profeti, divenivano personaggi del presente, perché ognuno vi si poteva scoprire.
Col sistema pittorico dell’affresco-graffito, il soffitto della chiesa ripete tutta la storia, partendo dalla Creazione, per passare alla manifestazione totale di Dio nel figlio Gesù, sino a giungere alla fine del mondo con la sua creatura, la Chiesa. Sono sei grandi lavagne che riproducono il cadere del tessuto gettato sulle travi di una enorme tenda; come vele che spingono lo sguardo più avanti.
La prima vela apre il grande discorso: “In principio, Dio creò il cielo e la terra”.
Il tutto è raffigurato in una fetta di terra, dove fioriscono piante e cespugli al calore del sole e sotto la luce della luna e delle stelle, mentre gli uccelli fendono l’aria e sulle acque giocano i pesci.
La seconda vela segna la manifestazione di Dio a Mosè, scelto per fare di Israele un vero popolo, con leggi ricevute da Dio stesso.
Ne sono simbolo il roveto ardente dentro il quale Dio parla a Mosè e le due tavole della legge.
Il testo è tratto dalla Bibbia: ”Queste sono le leggi che il Signore vostro Dio ha ordinato d’insegnarvi”.
La terza vela fa passare da Mosè ai Profeti, “gli uomini che Dio sceglie per sostenere l’Israele di Dio nella sua missione di portatore di speranza messianica”.
Tra le profezie dette messianiche, quella di Malachia precisa il luogo dove il Messia nascerà: la città di Betlemme, con scritto: “E tu Betlemme non sei l’ultima tra le città di Giuda, perché da te nascerà il Messia”.
La quarta vela accenna a tre temi fondamentali, rivelatori di un Dio padre pieno di bontà e di misericordia, infinitamente giusto.
Il tema della Provvidenza è illustrato da piante e fiori.
Il tema della Misericordia è illustrato da una casa, dove, sullo sfondo, s’intravede un uomo in attesa ed in basso un giovane che ritorna stanco e povero; è Cristo stesso che ha voluto descrivere l’amore del Padre, nella parabola detta del Figliol Prodigo.
Il tema della Giustizia è raffigurato dalla bilancia, dove i piatti sono sulla stessa linea.
Solo Dio può operare una vera giustizia, perché solo lui conosce a fondo l’uomo, sua creatura.
La quinta vela riprende il tema di Dio, con due pitture: alla sinistra, un altare col candelabro a sette braccia, simbolo, presso il popolo d’Israele, dell’Onnipresenza ed Onniconoscenza di Dio, con la scritta a fianco
“Questo è il primo comandamento: ama Dio con tutto il tuo cuore”. Sulla destra, la scena del Buon Samaritano, la più bella, la più affascinante storia dell’amore di un uomo per un proprio simile.
È il secondo aspetto di un unico amore, spiegato nel Vangelo: “Il secondo comandamento è simile al primo: Ama il prossimo tuo come te stesso”.
La sesta vela lo riassume e lo condensa con le parole dell’evangelista Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo Figliolo unigenito, perché chi crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna”.
La grande vela sopra l’Altare Maggiore, che chiude il discorso biblico e lo apre sull’Eucarestia, richiede un discorso a parte.
Al centro di essa, campeggia la Croce, piantata su una altura di roccia, da cui sgorgano sette ruscelli. Ognuno di questi porta il nome dei sette Sacramenti: Battesimo, Cresima, Eucarestia, Penitenza, Olio degli Infermi, Ordine, Matrimonio.
Il significato teologico è molto chiaro: i Grandi Doni, i Sacramenti, sono venuti all’uomo dal Dono che Cristo ha fatto di sé al Padre, un Dono giunto all’estremo delle umane possibilità e concretizzato nella Passione e Morte in croce.
Gesù Cristo apre col Dono d’amore la corrente di vita tra l’uomo e Dio Padre, che il peccato del primo uomo aveva volontariamente chiuso.
Al di sotto di questa vela, in dimensioni che dal basso non si riesce a valutare, su una trave che taglia tutta la luce del presbiterio, poggia un enorme crocifisso in bronzo, opera dello scultore Angelo Bianchi, premiata alla Biennale di Venezia.
Non è una ripetizione del crocifisso sopra dipinto, ma la traduzione in scultura di un Cristo sofferente, agonizzante e morente in croce per la salvezza del mondo.

Margherita

Teresa Bussari si sposa a Milano con Carlo Conti.
Ha da lui due figli, Giulio e Ferdinando.
Rimasta vedova, decide, nel primo dopoguerra, di aprire una bottega di prodotti sanitari, in Corso Buenos Aires.
Ha successo e apre, nel 1932, un’altra bottega, in via Santa Margherita, da cui il nome dell’insegna.
Prima del secondo conflitto mondiale, subentrano i figli, in un’impresa che è ormai diventata florida e ne costituiscono una società; Ferdinando la rileverà completamente alla scomparsa dei suoi familiari.
Nel 1968, la ditta si trasferisce nell’attuale sede di Corso Europa; negli anni 80, chiude il negozio di Corso Buenos Aires.
Ai genitori, succede nella gestione la figlia Teresa.

Polenta alla milanese

 

Ingredienti per 4 persone:
200 gr di farina da polenta
400 gr di lonza di maiale
1 rametto di rosmarino
5 foglie di salvia
3 foglie di alloro
3 chiodi di garofano
1 pizzico di cannella
50 gr di grana padano grattugiato
1 bicchiere di vino rosso
2 cipolle
2 spicchi d’aglio
Sale
Pepe
Procedimento:
Preparare la polenta come di consueto, aggiungendo nell’acqua bollente salata una noce di burro.
Macinare la carne e rosolarla in padella per una decina di minuti.
Aggiungere il trito di aromi e dopo aver salato e pepato, togliere dal fuoco.
Soffriggere nel burro aglio e cipolle finemente tritati.
Raggiunta la doratura, unire il vino e la carne.
In una pirofila imburrata mettere la polenta a fette, condita con la carne.
Dopo averla cosparsa di formaggio grattugiato, farla gratinare in forno a 180° per un paio di minuti.
Il mio suggerimento:
La servo in scodelle di coccio monoporzione, disponendone una fetta sul fondo ricoperta di carne e una fettina a lato, dopo averla gratinata.
Porto in tavola poi un piatto da portata con diverse fette di polenta gratinata, accompagnata da una ciotola con la rimanente carne, per chi ne desiderasse una porzione più abbondante.