Nascevo in una torrida giornata di luglio nel cuore di Milano, in quella via Bigli, allora silenziosa, nella casa che ebbe tra le sue mura il famoso salotto della contessa Maffei e che ospitò Einstein, fugacemente milanese – come testimoniamo le lapidi apposte sulla patrizia facciata – da famiglia tutta milanese: padre e nonno bancari, madre e nonni musicisti, tutti musicofili; un impasto singolare.


 

L’ombra della Madonnina mi accompagna fino in età adulta.
Abito in via Manzoni, frequento il ginnasio dai Barnabiti, sfollati come noi in Brianza, continuo a Milano fino alla maturità.
Mio padre mi manda ad una scuola di pittura – mirava alla ‘ceramica’, professione che riteneva adatta ad una fanciulla di buona famiglia – prima di scomparire prematuramente, per un infarto senza appello.
Mia madre mi intima i dieci minuti al giorno di scale al pianoforte.
Io preferisco le lingue e studio inglese al ‘British’.
Mi servirà molto di più che olio e tempere e balbettati solfeggi.
Mia nonna materna viene ad abitare con noi e vi porta la sua simpaticissima presenza, il suo fiorito, arguto, bel milanese ‘dabbene’, il suo spirito, le sue massime di cui imbeve il nostro lessico.
Mia madre, dolce e splendida, diplomatasi diciassettenne al Conservatorio di Milano, per qualche anno intraprende la carriera concertistica sulle più prestigiose piazze europee, poi, vuoi per via del matrimonio, vuoi per la responsabilità del nome che doveva reggere sulle sue fragili spalle – un nome impegnativo come quello di Paganini, celeberrimo avo – ripone il violino (peccato!) e solo di rado rispolvera qualche sonata esclusivamente ad uso domestico.
Mia nonna esala, con il suo ultimo respiro, quella bella parlata meneghina che mi resta impressa e che non deve rimanere silenziosa.
E lì quello che bolliva in pentola trabocca, sotto forma di versi di circostanza, per qualche evento particolare, per colorire le riunioni con gli amici.
Frequento una scuola ‘specializzata’ al Filologico e alla Famiglia Meneghina, imparo la corretta grafìa, scopro una nutrita letteratura al di là dell’inflazionato celebre Carlo Porta.
Mi appassiono, cambio stile, catturo idee, di giorno, di notte, in auto, in città, in vacanza, in salute e in malattia, idee che lasciano abbacinata mia madre, interdetto mio marito, perplesse le mie figlie, benevolmente impressionati gli appartenenti all’ambiente meneghinofilo.
Mi avventuro per Concorsi con risultati assai soddisfacenti.
Divento Membro dell’Accademia dei Dialetto. Mi faccio amici ineguagliabili di cui godo la stima. Mi sento gratificata, forse perché ‘ho fatto di più’.
Raccolgo tutto in un piccolo libro: “Domà per tì” (fuori commercio)
Ma qualche stilla di linfa è rimasta nella penna, ed ecco il mio secondo libercolo: “Pagin” (anche questo fuori commercio). Che cosa può volere di più una casalinga ormai ben al di là del mezzo del cammin di nostra vita?” Un bel rícordo per le figlie e ‘i nevod se ghe sarann…’ e perchè porre limiti ecc. ecc.? Magari la terza lapide sulla casa di Via Bígli…

1985 Premio Anna Carena

Premio Alpe

2006 Premio Dino Gabiazzi