Oggi intervista a Domenico Di Marzo, architetto imprevedibile, con la passione per l’eccellenza!
Buona lettura!
Un amico col quale sedersi e conversare dinnanzi a buon cibo e buon vino: è giusto definire così il KIKI BISTROT RESTAURANT?
Se il cibo è di qualità, anche la persona deve essere di qualità. È importante la positività delle persone, che sappiano apprezzare le buone cose. Di conseguenza, è meglio stare con chi apprezza il buon cibo ed il buon vino, piuttosto che con chi non apprezza tutto ciò.
Nel cuore di un quartiere caratteristico come l’Isola, come è nata l’idea del vostro locale?
Sono arrivato qui circa 30 anni fa, dalla Puglia. Mi ricordo che l’Isola, allora, era un quartiere piacevolissimo, lontano dall’odierna ricerca del fashion. Si evidenzia una distanza, una scollatura tra quello che si chiede all’Isola e quello che può offrire. Peraltro, è l’unico quartiere europeo, insieme con l’area postbellica di Berlino, dove una vasta area post industriale è stata riconvertita in area immobiliare. Tutto ciò grazie ad un americano che ha comprato tutto a suon di dollari e ha permesso a Milano di battere Smirne e conquistare l’organizzazione di EXPO 2015.
Il vostro obiettivo è offrire le specialità dei migliori brands gastronomici italiani: ci può fare qualche nome?
L’obiettivo è l’emozione che certi brands offrono, più che il loro nome. Alcuni grandi brands si rivelano dei flop, mentre marchi più piccoli e meno noti si rivelano una scoperta sorprendente. E, dopo una giornata di lavoro, è bene che il cibo ed il vino siano buoni, non importa quanto, per riconciliarsi con la vita. È facile vendere prodotti commerciali, più difficile vendere prodotti di qualità, ma che siano alla portata di tutti. È importante farlo in un periodo di crisi come questo, tagliando la filiera, non la qualità.
Ci può accennare brevemente all’atmosfera ed alle sensazioni che si possono respirare nei brunch domenicali?
Chiedetelo a chi lo vive domenicalmente. L’atmosfera che ci motiva è la cura del tempo; il cibo va consumato caldo, fatto al momento. Mi ricordo mia madre, che passava le giornate a cucinare. Mi ha fatto capire che ci vogliono i tempi giusti per gustare le buone cose della tavola.
Anche le lenzuolate, di terra o di mare, rivestono un carattere di unicità nel loro genere: in cosa consistono?
Si attinge sempre alle mie radici, alle mie origini: quando arriva l’ospite gradito, si prepara il meglio, si tira fuori l’argenteria migliore, si organizza un ambiente consono, affinché lo si possa far sentire a proprio agio.
Milano e l’unicità: è ancora un binomio valido, a suo avviso?
Da questo punto di vista, ahimè, siamo indietro rispetto alle grandi capitali europee. Prendiamo ad esempio l’Excelsior di Corso Vittorio Emanuele II che, usando prodotti di grande qualità, non ha riscosso il successo atteso. Si possono fare ancora gli esempi della mozzarella e della bottarga di botteghe storiche del centro di Milano, a prezzi astronomici rispetto ai nostri, considerando che si tratta dello stesso produttore.
In diverse occasioni KIKI BISTROT RESTAURANT promuove eventi a tema; qual è lo scopo di questi incontri?
Il cibo, come buon compagno, può essere il motivo di tale abbinamento: così come fa piacere guardare un bel corpo di uomo o di donna. È quindi possibile abbinare il buon cibo ad una bella donna o a un uomo bello, questo per privilegiare qualità, eleganza e buongusto, nella cucina così come nell’arte o nel design.
Le eccellenze di KIKI BISTROT RESTAURANT sono un’altra unicità di rilievo: perché dare ai piatti nomi di pittori?
L’attore principale è la pittura. Il nome Kiki deriva da Kiki di Montparnasse e me lo ha suggerito Giampiero Mughini. L’emozione che può dare un quadro è particolare ed allora anche il Kiki vuole emozionare subito, fortemente. Perché l’immagine forte, immediata, spinge ad essere curiosi; un’immagine debole ti lascia spento, senza motivazioni.
Anche il KIKI BISTROT RESTAURANT fa dello slow food la sua bandiera: è difficile difendere questo baluardo di genuinità in una metropoli caotica e frettolosa come Milano?
È molto difficile, perché oggi non vi è più il tempo di aspettare, si vuole tutto in fretta. Non vengano al Kiki coloro i quali hanno voglia di fast food o cibo espresso: non è il loro posto. Ecco perché ci sono pochi tavoli all’interno del bistrot: più spazio significa la possibilità di offrire una proposta gastronomica migliore nei tempi giusti.
Negli abbinamenti di gusto da voi proposti, il cliente compie un viaggio alla ricerca della più grande tradizione gastronomica italiana; si può abbinare qualità, prezzo e unicità rimanendo se stessi?
Sì, perché il format Kiki l’ho creato io, senza azzardare abbinamenti improponibili: penso all’accostamento di capesante e fois gras…è bello sperimentare, ma poi bisogna tener conto del fattore di rischio di insuccesso. Ci penalizza il prezzo, perché ciò che proponiamo non è per tutte le tasche. Allora, dobbiamo essere maggiormente aggressivi sulla comunicazione, poiché 7 mesi sono ancora pochi per lanciare il nostro messaggio, ma dobbiamo far capire ciò che facciamo e perché lo facciamo.
Olio e Lambrusco, pasticceria d’autore e Passito, sali e pepi DOP: qual è il prodotto che si sente di consigliare maggiormente a chi entra al KIKI BISTROT RESTAURANT?
Consiglierei tutto, farina di riso, sale, vino, ma, soprattutto, un tipo d’olio prodotto da un amico dirigente, di cui mi fido ciecamente.