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Delio Tessa

Nasce nel 1886 a Milano, in via Fieno, in casa di ringhiera.
Milanesi sono entrambi i genitori; Arsenio, il padre, è un bancario.
Il nome Delio è quello del nonno.

 

Nel 1895 trasloca in via Olmetto e nel 1925, alla morte del padre, in viale Beatrice d’Este 17.
Si laurea in legge nel 1911, con un po’ di ritardo, un po’ perché spesso malaticcio, ma forse anche per il poco interesse a questi studi, rivolgendo invece le sue simpatie alla filosofia, al cinema, alla musica, alla poesia, cui si dedica già in età giovanile, muovendosi nella tradizione milanese di Maggi e Porta, ma innestandovi modi e spiriti della poesia francese decadentista e espressionista, rielaborati però in maniera del tutto personale e curando al massimo la musicalità e le sonorità dei versi.
I temi preferiti della sua poesia sono quelli della vita quotidiana del cittadino, ma anche della drammatica realtà della prima guerra mondiale nonchè quella degli “emarginati della società” (prostitute, ladri della vecchia Vetra e del Bottonuto) con cui coltivava discretamente (lo dice Dante Isella) lunghe, fedeli amicizie.
La sua carriera professionale non fu una gran carriera, poca la clientela, solo sufficiente a fargli sbarcare dignitosamente il lunario.
E per arrotondare si dedicò anche ad una attività giornalistica prima in provincia, poi nel Canton Ticino, dove collaborò anche con la Radio della Svizzera italiana.
E poi, nel ’36 collaborò al quotidiano “L’Ambrosiano” che riuniva molte delle migliori firme della nostra letteratura, con scritti gustosi, malinconicamente umoristici su figure o scorci della città, poi raccolti sotto il titolo “Ore di città”
E’ stato anche un fine dicitore di poesie, che preparava come “si preparerebbe un concerto”.
Schivo di temperamento, è’ vissuto da scapolo, appartato, dopo una delusione sentimentale, col conforto della famiglia e di pochi amici che gli sono stati vicini sino alla fine (purtroppo precoce poiché una setticemia, provocata da un ritardato intervento ad un’infezione ad un dente, lo portava via il 21 settembre 1939).
Per sua volontà fu sepolto in un campo comune di Musocco, ma nel 1950 il Comune di Milano gli decretò gli onori del Famedio e, successivamente, gli intitolò una strada, da corso Garibaldi a piazza delle Crociate.
Oggi Delio Tessa è considerato il più grande poeta dialettale del ‘900.
Opere pubblicate:
L’è el dì di mort, alegher! (raccolta di versi, unica cosa da lui pubblicata in volume, in vita.
La raccolta passò inosservata anche per l’ostracismo che il fascismo riservava per i dialetti.
L’è el dì di mort, alegher! (a cura di Claudio Beretta – Libreria Milanese 1993)
Ore di città (a cura di Dante Isella – Einaudi 1988)
L’è el dì di mort, alegher! – De là del mur – Altre liriche (a cura di Dante Isella 1999) – Ed. Einaudi
Nove saggi (1939) Poesie nuove ed ultime (pubblicate postume, nel 1947, a cura di F. Antonicelli e F. Rosti)

Carl’Antonio Tanzi

Nasce a Milano nel 1710.
Di buona e antica famiglia, ma in quel periodo di modeste condizioni economiche, riesce comunque ad affrontare gli studi letterari e a trovare un impiego decoroso, contribuendo a far  “rinascere a Milano il gusto delle lettere”. E Porta lo colloca fra i cinque “omenoni proppi de spallera” (Carlo Maria Maggi, Domenico Balestrieri, Carl’Antonio Tanzi e Giuseppe Parini) nel suo sonetto:
Ma ha salute cagionevole e quindi si  ammala precocemente di tubercolosi.

 

Ciononostante affronta la vita con coraggio e ottimismo. Dice di lui il Parini: “La fisonomia dell’animo era nella persona: alto di statura, grand’occhi neri vivaci, gran naso aquilino, tratti del viso aperti e fortemente scolpiti, parlare e movimenti vibrati e risoluti (…) di voce aggradevole e bravissimo declamatore.”
E’ segretario dell’Accademia dei Trasformati, creata nel 1546, ma rinata nel 1743 e gode l’amicizia di tanti letterati lombardi, tra cui in particolare Domenico Balestrieri, con cui portò avanti la “Brandana”, una vivace polemica fatta di opuscoli e composizioni poetiche contro il padre Onofrio Branda, autore nel 1759 di un Dialogo sulla lingua toscana in cui irrideva all’uso del dialetto.
Muore il 18 maggio 1762, proprio a causa della tubercolosi e l’amico Balestrieri gli dedica una poesia in milanese, che è uno dei suoi capolavori.
Opere
– Alcune poesie milanesi, e toscane
– Nuova antibrandana
– Poesie di Girolamo Birago, Pietro Cesare Larghi, Stefano Simonetta
– Le poesie milanesi
– Can bianco

Grazia Sullo Ogliari

E’ nata a Milano, dove ha sempre vissuto e lavorato.
E’ pensionata, sposata, madre di tre figli e nonna di due nipotine.
Si dedica alla poesia in dialetto milanese da non molti anni, ottenendo lusinghieri successi e  molti premi a carattere regionale.

 

Ottima interprete delle proprie liriche, si cimenta con bravura anche nella composizione poetica in lingua conseguendo pure in questo campo, dei buoni risultati in importanti concorsi nazionali ed internazionali.
Alcune sue opere sono presenti, già da qualche anno, nella più prestigiosa e diffusa antologia poetica italiana, denominata “L’Agenda dei poeti”.
“Grazie istess”, raccolta di poesie in dialetto milanese, è il suo primo libro, edito nel 2003, mentre nel 2004 è uscito il suo secondo libro, “Il tempo dell’amore”, raccolta di poesie in lingua, ottenendo, in entrambi i casi, un grosso successo da parte dei lettori.

Speri Della Chiesa Jemoli

Il principe dei poeti bosini
Speri Della Chiesa Jemoli, nasce a Varese il 25 dicembre 1865 da Emanuele Della Chiesa, avvocato, e da Angelica Zerbi; vi muore il 9 gennaio 1946.
Sposa Alma Giudici ed avrà l’adorata figlia Angelica. Nel 1912 viene adottato dal Dottor Oscar Jemoli
Autodidatta appassionato ed intelligente si forma una profonda cultura in particolare di letteratura italiana, ma diviene anche fine conoscitore di musica e fotografia.

 

“Letteratura, musica, polpett, politica, pittura, cicolatt…” così Speri definisce la “poesia”: una ricetta di pagine scritte miste a musica, di cui era un fine amatore, polpette, politica, nella sua fede repubblicana, pittura e cioccolato.
Dopo una giovinezza indisciplinata e in parte avventurosa (fuga dal collegio, soggiorno per lavoro a Marsiglia presso l’ufficio di un armatore (1880), si diede al giornalismo, collaborando anzitutto a “L’uomo di pietra” di Camillo Cima (1892), organo del Partito Repubblicano; fondò nel 1893 e diresse, poi, in qualità di direttore-proprietario fino al 1914 il giornale
“Il cacciatore delle Alpi”, settimanale repubblicano molto diffuso nel Varesotto sulle cui colonne fecero tra l’altro la loro prima apparizione, a puntate, “I nostri buoni villici”, vale a dire l’opera sua poetica più importante e apprezzata, costituita da scenette rusticane dialogate.
Più tardi, abbandonato il giornalismo politico, trovò impiego presso la Banca Cooperativa di Varese che, fusasi poi col Banco Mazzola, divenne il Credito Varesino, del quale si occupò praticamente fino all’ultimo respiro. Dotato di facilissima e felicissima vena, Speri Della Chiesa Jemoli era solito firmare con lo pseudonimo “Try Ko Kumer” la sua copiosa produzione di novellette, canzoni, sonetti, madrigali, giaculatorie, panzanegh e pennellad, bosinad e matoccad, che – anche se buttate giù nella corrispondenza privata con amici e colleghi – avevano subìto rapidissima diffusione, diventando così ufficialmente di pubblico dominio, sebbene non date alle stampe.
Come gli antichi rapsodi o i più recenti menestrelli, soleva spesso accompagnarsi – nella recitazione dei suoi versi – con la chitarra e il successo era sempre tale e tanto, che fu più d’una volta richiesto di allietare riunioni conviviali nella sua duplice veste di poeta e di musico.
Nella canzone popolare Su, massera! seppe financo riprendere magistralmente la forma della ” villotta ” o ” villanella ” che, sostituendo gli ” strambotti “, venne in sì grande onore nel XVI secolo.
Anche per Speri Della Chiesa Jemoli, come avviene tuttavia per vari autori, e segnatamente per vari poeti anche grandi e grandissimi, gli ” inediti” (e già ne abbiamo accennato le ragioni) sono molti.
Ben raramente un poeta procede componendo di getto la sua opera; così abbozzi, frammenti, semplici annotazioni o anche intere operette rimangono ignorate dal grosso pubblico, sia perché l’autore stesso viene sorpreso dalla morte prima della distruzione totale del suo lavoro o prima dei ritocchi finali che ritiene utile apportarvi, sia perché non stima opportuno – per un motivo o per l’altro – di darlo alle stampe.
Comunque, il grosso pubblico rimane in tal modo privato (defraudato quasi) di versi smaglianti o faceti, drammatici o teneri, secondo le circostanze.
Ed è, spesso, una più o meno grave perdita: una perdita, a ogni maniera, del patrimonio culturale o artistico, come quando vada smarrita la tessera di un mosaico, che toglie in ogni modo completezza alla veduta d’insieme.
Questo è il caso appunto del poemetto “Sonetti prostatici” di Speri DeJla Chiesa Jemoli, che vede oggi la luce per la prima volta, dopo oltre trent’anni di oscurità.*
Il 9 gennaio del 1946, Speri Della Chiesa Jemoli moriva, portando con sé quel suo brillante e ineguagliabile tesoro di arguzia e di vivacità che così bene lo caratterizzano fra i poeti dialettali lombardi e ” bosini” in particolare.
Opere dell’Autore:
Vers…de lira (1901 e la 3a Ed.Maj & Malnati Varese 1932 )
I nostri buoni villici e i Villici milionari (scenette rusticane in versi bosini con illustrazioni del pittore Amero Cagnoni)
Don Vicente – I parvénu (altre scene rusticane in versi)
El Quart d’ora de Giavan (sonetti e madrigali)
Quatter giaculatori a Sant Antoni del Porscell (1923)
Sanzioneide (1936)
Sonetti prostatici (postumo 1975)

Giannino Sessa

Nasce a Milano il 28 luglio 1876; si laurea in legge a Pavia nel 1898 ed esercita a Milano la professione. Dotato di senso artistico, ama soprattutto la musica, ma la vita lo costringe ad altre scelte.
Ama anche il dialetto milanese e già a 13 anni scrive le prime rime meneghine che diventano poi tante e tante nel corso degli anni.

 

Nelle sue poesie parla delle bellezze di Milano, ma anche dei suoi difetti e descrive la campagna con cui è in simbiosi.
Utilizza uno stile (vocabili, espressioni, grafia) particolare non sempre apprezzato perchè in disuso, ma che egli di proposito conserva per non “imbastardire” la parlata originale.
E’ amico di Antonio Negri, poeta “colto” della Famiglia Meneghina. Ci lascia nel 1950.
Pubblicazioni
Vita Milanese
Legrij e magôn
L’anema d’on meneghin
Pescecani
Panzanegh – per i nost fioeu
Invedriad del Domm
Carimaa stravaccaa
Ona corsa per Milan
Dodes esempi