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Mario Scurati

Milanese da quattro generazioni, nasce in una casa di ringhiera, nel 1936.
Nel 2002 l’allora sindaco Albertini gli conferisce l’onorificenza di “Maestro del Lavoro” con l’Ambrogino d’oro.

 

Lavorando nell’edilizia, ha avuto l’opportunità di fornire alla veneranda Fabbrica del Duomo i ponteggi utilizzati per il restauro della facciata del Duomo ed anche il materiale per risistemare i basamenti che sostengono la  “Madonnina” .
Ha frequentato i corsi di milanese presso il “Circolo Filologico Milanese” imparandone la
corretta grafia.
E’ Socio dell’Accademia del Dialetto Milanese e dal 2008 ne è stato eletto Consigliere.
Ama scrivere poesie come si rileva dai titoli delle sue raccolte:
“I mè penser”     “I mè spegasc”    “Penser e spegasc”.

Gaetano Sbodio

Nacque a Nilano nel 1844 e ebbe vita avventurosa: fece la campagna d’Umbria e quella contro il brigantaggio nella Legione dei Cacciatori del Tevere, poi fece l’orefice e nel 1872 entrò a far parte della Compagnia Stabile di Carlo Righetti (in arte Cletto Arrighi ), riformatore del Teatro Milanese, Compagnia che accolse in seguito anche Edoardo Ferravilla.

 

Ma il Righetti era un cattivo amministratore e pertanto nel 1876 la Compagnia fu ricostituita e intitolata a Ferravilla, Sbodio e Giraud con buona fortuna per oltre un ventennio in Italia e all’estero. Lo Sbodio si stacca dalla Compagnia nel 1890 e ne crea un’altra con Davide Carnaghi, ma questa nuova Compagnia non ha successo per cui ritorna con Ferravilla, poi se ne va di nuovo, di nuovo ritorna, sempre bene accolto dallo stesso Ferravilla che lo comprende e lo scusa. I motivi di queste separazioni e rientri erano dovuti al disaccordo sui criteri di scelta del repertorio. Lo Sbodio aveva un repertorio personalissimo. Fu anche autore di un certo successo e il suo teatro fu spesso interpretato dal grande Edoardo. Lo Sbodio ebbe vita breve, indigente e fu colpito dalla cecità.
Suoi lavori teatrali : On cereghett del ’48 – Oh! Che topica! – La mamma granda – El sur Galbusera – On barabba innamoraa – Gabinett particolar – In Viarenna – El cippiripi – La mamma di gatt – Lee e luu, luu e lee – Alla cassina di pomm – On episodi di 5 giornad – La baila – El duetin d’amor – El nonno.

Luigi Santucci

Luigi Santucci – che però voleva essere chiamato “Lillo” dagli amici – nasce a Milano l’11 novembre 1918, città che ama, come ama la Brianza e i laghi lombardi.
A Milano compie gli studi sino a laurearsi in lettere alla Cattolica, dove sarà assistente per alcuni anni e, successivamente, si dedicherà all’insegnamento di materie letterarie nei licei e allo scrivere, sua passione del resto sin da quando era adolescente.

 

La critica lo considera il maggior narratore milanese della seconda metà del Novecento e Carlo Bo lo definì “lo scrittore cattolico più importante dei suoi tempi”. Religioso, ma non clericale.
E Santucci risponde ai critici col suo tipico accento lombardo: «Macchè grande scrittore. Macchè impresa tremenda.(riferendosi allo sforzo di “legare una fede sicura alla gioia della vita e della fantasia poetica”) Macchè fede sicura. Sono solo un venditore di fumo, un imbambolato guardiano di sogni”»
Il suo attaccamento a Milano lo si legge anche in un suo articolo “Conquistato da Gorizia” dove nel 1942-43 gli era stata assegnata una cattedra. La madre gli presenta il telegramma ministeriale dell’assegnazione e lui si mostra perplesso, pensando: «Ma quanto dista dalla mia Milano, dal dolce nido materno donde questo fiscale telegramma m’ingiunge di strapparmi? Molto, ahimè, verificandolo sulla carta geografica. Una decina di ore ferroviarie! (in quell’epoca)» Invece, poi, fu conquistato da Gorizia, dalla sua gente, dai suoi alunni (dei quali era quasi coetaneo) e dal suo dialetto
Muore a Milano il 23 maggio 1999. Il suo nome è inciso nel Famedio tra quelli dei cittadini illustri, vicino al Manzoni.
Opere (saggi, romanzi, commedie e poesie in lingua e vernacolo (queste ultime in gran parte inedite) e letteratura anche per ragazzi)
1942 (il primo libro) La letteratura infantile
1947 In Australia e 1951 Lo zio prete – (scritti quando frequentava il liceo)
1964 Il Velocifero (premio Campiello)
1967 Orfeo in Paradiso  (premio Campiello)
1969 Volete andarvene anche voi? –
1981 Il bambino della strega
1999 Eschaton   
1999 Autoritratto, (Antologia postuma pubblicata nel 2004)

Caterina Sangalli Bianchi

E’ nata a Bovisio Masciago nel 1922 ed ivi morta nell’aprile del 2002.
Dapprima come “poetessa in lingua”, e si è avvicinata al dialetto milanese nel 1975.

 

Ha fatto parte del gruppo dialettale “Meneghino e Cecca” e a quello di “Renzo e Lucia”.
Con le sue poesie ci fa rivivere la “quotidianità della gente”.
Nota non solo nel suo paese, ma anche in tutta la Brianza e a Milano, è stata socia stimata del Circolo Filologico e dell’Accademia del dialetto milanese.
Ha fatto anche parte del Cenacolo dei poeti ed artisti di Monza e Brianza. Autrice sensibile, ha espresso nelle sue poesie le sue emozioni ed era molto amata da quanti l’hanno conosciuta.
Ha tenuto per cinque anni corsi di poesia dialettale all’Università della Terza Età di Cesano Maderno.
Nei vari Concorsi cui ha partecipato ha sempre ottenuto i primi posti, come ad esempio:
1985 “Esagono”, Renate Brianza, terza classificata
1985 “Maschera d’Oro, Milano, seconda classificata
1985 “Anna Carena”, Milano, seconda classificata (con la medaglia d’oro)
1985 “Don Lisander”, Lecco, prima classificata
1986 “Maschera d’Oro, Milano, seconda classificata
1986 “Esagono”, Renate Brianza, seconda classificata
1987 “Esagono”, Renate Brianza, prima classificata con la poesia “Pee in cornis”.
1987 “La Sgorbia Brianzoeula”, Rogeno, prima classificata
1987 “Anna Carena”, Milano, seconda classificata
1989 “Cancell rusgen” (raccolta di poesie) premio “Bovisietto d’oro”a Bovisio Masciago

Giosafatte Rotondi

Giosafatte Rotondi nasce a Paderno Dugnano, anzi a Dugnano come amava dire, il 31.01.1890 da Irma Rotondi e dall’Ing.
Piero Rotondi, primo di otto fratelli, Giuseppina, Luigi (Gino), Marina, Emilia, Giannina, Maria Antonietta e Elviretta.
Dopo aver frequentato gli studi classici, si laurea in giurisprudenza partendo subito dopo per la grande guerra (1915/18) alla quale partecipa con onore come ufficiale delle batterie a cavallo, ritornandovi con il grado di Colonnello.

Finita la guerra, riprende le sue occupazioni civili e, dopo la morte del padre, diviene Amministratore
Unico della fabbrica di glucosio e caramelle, una delle più importanti d’Italia, sita fra Dugnano e Incirano. Quello stabile, anche dopo la sua trasformazione in edificio abitativo, conserverà nel tempo la denominazione di «la fabbrica».
In questa veste si afferma la sua spiccata personalità di uomo e d’imprenditore.
Disponibile e sensibile ai problemi degli operai, istituisce per loro premi di produzione, ma soprattutto forme di previdenza ed assistenza per i più bisognosi ed a favore dei disoccupati.
Mentalità certamente aperta ed ardita per quei tempi, tanto più che le sue idee innovative sono esclusivamente scelte personali che nascono, senza l’intervento stimolante di qualsiasi forma sindacale, esclusivamente dal grande rispetto e dalla consapevolezza dei bisogni altrui.
Ma già si afferma prepotentemente il fascismo e, l’Avv. Rotondi, intollerante ad ogni forma di cattiveria, di viltà e di prevaricazione, ne diviene in breve un nemico dichiarato e risaputo anche se rispettato e temuto per la sua forte personalità.
In questo periodo la sua poesia diventa satira pungente e la sua indignazione esplode nell’invettiva quando il sopruso offende la dignità.
Dal Senatore Giuseppe De Capitani D’Arzago viene chiamato ad assumere la carica di Capo Ripartizione del Comune di Milano dove si segnala subito per le sue capacità, ma ancora di più per le straordinarie qualità di vero galantuomo.
Nel suo incarico mai si piegò ad un ordine che potesse generare ingiustizia ed offesa ai deboli.
Non per nulla l’allora Card. Schuster lo ebbe a menzionare come uno dei milanesi che veramente facevano onore alla città.
Un giorno nel suo ufficio si insedia un tizio in camicia nera «per ordine della Federazione Milanese» dice egli all’Avv. Rotondi che chiede spiegazioni.
L’Avvocato urlando ribatte deciso che «per ordine del Colonnello Rotondi deve immediatamente andarsene» e lo sbatte fuori senza tanti complimenti.
Dopo l’episodio d’insofferenza al «potere», l’Avvocato viene lasciato al suo posto, ma segnato a dito e vigilato ed è allora che nasce sferzante la sua lirica contro l’Era con la poesia “Insistere”.
Moltissime sono le sue poesie politiche di quel tempo, anche non pubblicate, ma, quando il fascismo viene travolto dagli eventi della Resistenza, allora la sua penna tace perchè egli, tanto impietoso verso il regime trionfante, mai avrebbe infierito sui vinti.
Da questa sua concezione ne deriva la decisione, rispettata ancora dalla sorella Emilia in occasione della ristampa della sua opera, di non pubblicare più le altre poesie politiche. Quanta onestà, quanta rettitudine, che esempio!
Cronista fedele degli eventi storici, ne coglie puntualmente i momenti piu significativi; con grande amarezza ne “L’ultima scampanada”, scritta nel ’43, o con grande speranza ne “L’Orbin de Dugnan”, scritta nel ’49. Nell’atteggiamento dell’eco che guarda alto e sorride al nuovo concerto di campane che salgono verso la cella del campanile, coglie il ritorno della serenità dopo gli ormai lontani rumori di guerra.
Profondamente religioso, sovente troviamo i suoi precisi richiami alla sua fede forte e consapevole pur se non risparmia quelle sue argute “beccate” agli uomini di Chiesa e, nel timore di qualche non voluta irriverenza pronuncia il suo mea culpa nella prefazione a “Sti mè versari”.
Ma nella sua poesia troviamo un altro tema dominante: la sua famiglia.
La devozione filiale e il rispetto verso mamma e papà sono sempre presenti così come appare molto delicato il sincero rapporto con il carissimo fratello Gino e le amate sorelle tra le quali, particolarissimo attaccamento alla sua Elviretta che lui chiamava “el mè Lilin”.
Si ricordi per tutte “Per che costrutt?”, “La Benedizion de Natal” e “El vero Te Deum”.
Come poeta ottiene il massimo riconoscimento nel 1961 con il Premio Gastaldi per la poesia vernacola con il volumetto “La Vos”, ma la sua fama è andata ben oltre l’unico premio letterario (peraltro rarissimi in quei tempi) sino a collocare Giosafatte Rotondi tra i grandi della poesia milanese dopo Carlo Porta e Delio Tessa (del quale era buon amico tanto che il 21 settembre 1939 era vicino a lui mentre moriva).
Muore all’età di circa 80. anni, il primo luglio 1970, lasciando sole le ultime due sorelle Elviretta ed Emilia.
Premio Gastaldi 1961
Opere pubblicate:
“Sti mè versari” Ed. G.Moneta, Milano, 1946 – Ed. Seregni, Paderno D. 1987
La vos (poesie milanesi – Ed. Gastaldi, Milano, 1962)